sabato 20 maggio 2017

PER MIA FIGLIA (Ares, Poseidone, Alcippe, Alirrozio)


Attenzione: il racconto contiene scene che potrebbero impressionare.







   Ad Alcippe restava poco: tre, forse quattro minuti di confortevole normalità fatta di passi, profumo di mare e caldi raggi di sole tra i capelli; un lasso di tempo che una fanciulla di sedici anni non avrebbe mai potuto apprezzare appieno perché scontato, ovvio, impossibile da valorizzare nella sua banalità. Ma se anche avesse saputo con quanta efferatezza il male l’avrebbe aggredita di lì a una manciata di istanti, Alcippe non si sarebbe fermata a ringraziare gli Dei per la quiete offertole quella giornata, per il buonumore, per le simpatiche nuvolette a batuffolo che galleggiavano qua e là come sbuffi di fumo bianco, nel cielo vasto e blu del primo pomeriggio. La porzione di esistenza tra la pace e l’inizio dell’orrore sarebbe stata svuotata di ogni significato, perché la giovane avrebbe pensato a una cosa sola: correre, correre e ancora correre, fino a porre tra sé e il mare una barriera insuperabile fatta di case, recinti, alberi e monti. Avrebbe corso fino a sentire il ventre piegarsi per i crampi, fino a percepire alle proprie spalle una smisurata e rassicurante distanza che le rendesse impossibile scorgere anche solo una goccia di quelle azzurrissime acque marine, e solo allora, scoprendosi al sicuro, avrebbe permesso al proprio fragile corpo di crollare a terra, e il sollievo dello svenimento sarebbe stato dolce e avvolgente, come un abbraccio a lungo desiderato.
   Ma niente di tutto ciò sarebbe mai accaduto e Alcippe, inconsapevole e spensierata, proseguì per la sua via.