Sopra l'isola di Nasso, verde
gioiello nel cuore del Mediterraneo, le nuvole scorrevano lente nel cielo del
pomeriggio, sfiorando col loro tocco ombroso ogni dettaglio di quella natura
incontaminata: le coste rocciose del nord, a picco sul mare; le colline ricche
d'acqua che dall'interno sfumavano ad ovest in vaste pianure; le spiagge di
sabbia color avorio, fini e soffici come farina. E gli ulivi, i cedri, i faraglioni,
le cave di marmo, i sentieri battuti dalle bestie selvatiche... Su ogni zona
dell'isola di tanto in tanto calava un velo d'ombra che ne spegneva i colori,
ma pochi minuti dopo le nubi spinte dal vento proseguivano il proprio cammino
lasciando che la luce del sole tornasse a baciare la terra, e tutto si faceva
di nuovo splendido, caldo, intenso.
Era una di quelle placide giornate
in cui è gradevole sdraiarsi sull'erba a interpretare la forma delle nuvole; in
cui quasi si avverte il bisogno di abbandonare ogni attività e concedersi il
lusso di perdere un po' di tempo all'aria aperta, senza pensare più a nulla.
Ma a Nasso a godere del calore del
primo pomeriggio furono solo le lucertole, uscite dai propri nascondigli tra le
pietre per scaldarsi e rinvigorirsi, e nessuna voce d'uomo né risata di bambino
si intromise in quel particolare sottofondo fatto di canti di cicale,
sciabordio d'onde sul bagnasciuga e richiami di gabbiani.
L'isola era completamente deserta.
Una perla di rara bellezza che
nessun mortale mosso da ambizione aveva ancora reclamato come suo possedimento,
e che proprio per questo vantava il fascino tipico delle terre vergini e
selvagge.
Eppure a Nasso qualcuno
c'era: una presenza discreta e silenziosa, quasi impercettibile alla vista,
come fosse divenuta anch'essa parte dell'ambiente che l'avvolgeva.
Era una fanciulla.
Giaceva addormentata su una delle
lunghe spiagge bianche che cingevano la costa occidentale, e a vederla così,
sdraiata sul fianco col corpo snello accarezzato ora dal sole ora dall'ombra,
sola in mezzo al nulla, chiunque, anche il più impassibile tra gli uomini,
avrebbe spalancato la bocca e dubitato dei proprio occhi.
Era come un'apparizione, una
figura incantevole che pareva esser stata partorita con dolcezza dal mare e
lasciata là, sulla candida spiaggia, in attesa d'essere scoperta e destata con
un bacio.
Ma la giovane non era un dono
delle onde bensì una creatura mortale, le cui vesti dalle bordature in oro e la
pelle diafana ne rivelavano la natura nobile.
Era Arianna, principessa di Creta.
Riposava sull'ampio himation di
lana che Teseo, il suo amato, si era sfilato di dosso non appena erano sbarcati
a Nasso, distendendolo a terra in modo che lei potesse sdraiarsi sulla spiaggia
senza che la bella tunica le si riempisse di sabbia. La sua espressione era
rilassata, il sonno profondo e appagante; un sonno denso di sogni ed emozioni,
che come neve al sole si stava a poco a poco sciogliendo, tanto che la
fanciulla iniziava a percepire in lontananza il profumo dell'eroe di cui l'himation
era pregno: una fragranza maschile che sapeva di sale e pregiati oli per il
corpo, l'unico profumo che avrebbe mai potuto emanare un giovane principe che
sfidando la morte si era ricoperto di gloria e che ora, a testa alta e col cuore
traboccante d'orgoglio, trascorreva le giornate a navigare per il mare in
direzione di casa, impaziente di diffondere la propria leggenda.
Teseo era un ambizioso, un
guerriero dall'animo impavido che la natura aveva dotato di notevole fascino,
oltre che di gran coraggio e ardore, e Arianna lo amava.
Lo aveva amato dal primo momento
che aveva incrociato i suoi occhi bruni a Creta, poco prima che entrasse nel
Labirinto di Cnosso, e pazza di lui aveva fatto il possibile per salvarlo da un
destino infausto. Sapeva che, in quanto erede al trono di Atene, Teseo era
venuto per uccidere il Minotauro, l'orrendo mostro metà uomo e metà toro che
viveva rinchiuso all'interno del labirinto e che da anni, con la piena
approvazione di Minosse, Re di Creta, si cibava di fanciulli appositamente
inviati dalla città attica, suo malgrado sottomessa ai cretesi, così come
sapeva che non sarebbe mai stato capace di trovare da solo l'uscita del
labirinto, se anche fosse riuscito ad avere la meglio sulla bestiale creatura.
Quello di Cnosso era un labirinto
fitto, un'opera d'incredibile ingegno da cui solo Dedalo, il suo costruttore,
sarebbe stato capace di uscire. Ma Arianna, che vantava una mente altrettanto
brillante e un cuore innamorato che l'avrebbe spinta a fare qualsiasi cosa,
aveva escogitato in tutta fretta un sistema per permettere all'amato di
ritrovare la via d'uscita: sarebbe bastato un gomitolo di lana, che srotolato
durante il percorso gli avrebbe impedito di perdere l'orientamento e gli
avrebbe fatto raggiungere in pochi minuti l'unico sbocco del labirinto, che era
entrata e uscita allo stesso tempo. Un trucco tanto semplice quanto efficace.
E quando il principe era
finalmente uscito, accaldato e sudato per lo scontro con il mostro ma con un
sorriso trionfante a illuminargli il viso, Arianna aveva sentito le gambe
tremare per l'emozione.
Quanto le era sembrato bello,
forte, eroico...