martedì 19 aprile 2016

AMORE NERO (Ade e Persefone)




Silenziosa e dal passo triste come un'anima appena giunta nell'Oltretomba, Persefone sfilò tra le ombre dei defunti nell'immensa Prateria degli Asfodeli, davanti al Palazzo di Ade. L'aria pesante e nebbiosa degli Inferi le entrava dentro ad ogni respiro, soffocandola di malinconia e instillandole un persistente desiderio di pianto, perché tutto di quelle terre così lontane dai verdi e rigogliosi campi della superficie, ai quali era abituata, odorava di morte: il suolo grigio e secco, le torbide acque del fiume Stige, il cielo fosco privo di astri, più simile al fondo di un pozzo maleodorante che a una bella volta celeste...
Persino il più insignificante dei dettagli di quel mondo sotterraneo era intriso di disperazione, quasi i lamenti e le lacrime dei defunti, nel lento fluire dell'eternità, lo avessero in qualche modo corroso incupendone l'aspetto.
Ma la Dea, pur avvertendo gli occhi farsi umidi, ricacciò indietro il desiderio di cedere alle lacrime e proseguì sul suo cammino.
Da quando Ade l'aveva strappata dal regno dei vivi sposandola contro la sua volontà, Persefone aveva cercato conforto nel pianto innumerevoli volte, e le lacrime erano riuscite per qualche minuto ad alleggerire il suo dolore perché nel versarle aveva rivolto le proprie preghiere al padre Zeus affinché intercedesse per lei e la salvasse da quell'oscuro destino. Ma ora che il suo fato era segnato, ora che persino sua madre Demetra si era messa il cuore in pace e aveva accettato quelle circostanze, Persefone sapeva che piangere avrebbe solamente intensificato la sua sofferenza e null'altro.
Avrebbe passato sei mesi dell'anno accanto al suo sposo e gli altri sei in superficie, di nuovo tra le braccia di sua madre.
Così era stato deciso e lei doveva piegarsi al volere degli Dei.
Doveva essere forte. Se lo ripeteva continuamente.
Ma accettare quel destino non era cosa semplice e più il tempo passava più Persefone aveva l'impressione di essere stata seppellita viva: giovane, bella e viva, sotto tonnellate e tonnellate di terra dall'odore nauseante, costretta suo malgrado a farsi del male ricordando con nostalgia i bei momenti trascorsi alla luce del sole, a raccogliere fiori e intrecciare coroncine d'edera e biancospino in compagnia delle sue più care amiche.
Come potrò mai abituarmi a tutto questo? Come potrò mai amare l'uomo che mi ha rovinato la vita?
Persa nei suoi pensieri, Persefone passeggiava tra le ombre decisa a mescolarsi ad esse e ad avere, seppure per qualche istante, l'impressione di svanire nel nulla, dimenticata da tutto e tutti. Ma i defunti, riconoscendo in lei la sposa del Re degli Inferi, le aprivano la strada con deferenza ed evitavano di incrociare il suo cammino offrendole più spazio di quanto desiderasse.
Allora lei si allontanò dalla mischia per ammirarla da lontano e con l'erba ruvida della Prateria degli Asfodeli a farle il solletico sotto i piedi scalzi raggiunse un cipresso bianco, a sinistra del Palazzo di Ade. Ne sfiorò il fogliame con la punta delle dita e lo trovò freddo, quasi la pianta fosse morta da tempo. Per nulla sorpresa calò la mano e volse il capo verso le inquietanti ombre ammassate più avanti.
Il fiume Lete, uno dei cinque fiumi infernali, lambiva la Prateria degli Asfodeli a sud, scorrendo alla sinistra del tempio di Ade. Noto a Dei e mortali con l'appellativo di fiume dell'oblio, attirava le anime dei defunti col potere delle sue scure acque capaci di cancellare ogni ricordo dell'esperienza terrena appena conclusa, piaceri e dolori compresi.
Persefone osservò in silenzio quelle ombre, chine sulle sponde del Lete, e provò invidia per loro. In quanto Regina degli Inferi quelle magiche acque non avrebbero avuto alcun effetto su di lei, se mai avesse avuto il coraggio di berle.
Ormai questo è il mio destino... posso solo attendere il trascorrere dei sei mesi...