Lungo le nere sponde del fiume
Stige, Ade passeggiava con cuore calmo, accompagnato dalla moglie Persefone.
L'aria era umida, pesante. La volta del cielo, grigia e fosca, pareva fondersi
con la terra, come se tra le due non vi fosse più alcuna distinzione e il mondo
intero non fosse null'altro che una slavata imitazione di se stesso. Negli
Inferi tutto perdeva la sua identità e la sua importanza, facendosi ombra tra
le ombre, e persino lo straziante pianto dei defunti, traghettati da Caronte da
una sponda all'altra dello Stige, smarriva la propria energia non appena le
anime s'incamminavano nei meandri dell'Oltretomba, consce di non poter più
tornare indietro, e di quel pianto non rimanevano che lamenti trascinati e
gemiti privi di vita. E in mezzo a quell'angoscia fatta di lacrime e rimpianti,
i due Signori degli Inferi passavano lenti, distaccati, senza lasciarsi
influenzare da essa in alcun modo: a quel tetro spettacolo erano ormai entrambi
abituati, nonostante lo sbarco delle ombre non riempisse i loro animi dei
medesimi sentimenti.
Ade, a differenza della moglie,
s'inorgogliva nel contemplare i suoi nuovi sudditi riversarsi a fiotti oltre lo
Stige, e per loro, per ognuno di loro, provava un forte senso di possessione
materiale. Erano suoi, finalmente suoi, dopo aver trascorso anni in superficie
a ingraziarsi Zeus e gli altri Dei dell'Olimpo; a vivere vite insignificanti,
gloriose, misere, emozionanti... vite dai mille colori, che ora avrebbero
condizionato il loro futuro nel regno della morte. Ma che quelle anime novelle
finissero con l’ardere di dolore nel Tartaro, che vagassero smarrite nella
Prateria degli Asfodeli o che godessero della pace nei Campi Elisi, ad Ade non
importava: gli bastava saperle sue, pronte a riconoscergli l'autorità che
sapeva di meritare al pari dei suoi fratelli.
Persefone, invece, non guardava
alle ombre con orgoglio, pur essendone la regina. Sfilava tra loro senza
fissarne nessuna in particolare, mentre il suo sguardo coglieva l'ambiente
nella sua interezza. Erano trascorsi tanti anni dal giorno in cui la terra si
era squarciata sotto ai suoi piedi e Ade, a bordo di un cocchio scintillante
trainato da cavalli neri come la notte, l'aveva afferrata trascinandola con sé
giù negli Inferi, e da allora molte cose erano cambiate. Quel matrimonio, nato
dalla forza e dall'inganno, col tempo aveva dissipato la mole di tristezza che
le schiacciava il petto, e a sorpresa, come un frutto dalla buccia amara e il
cuore sorprendentemente dolce, si era fatto gradevole, accogliente, caldo;
un'unione salda e profonda, che era riuscita a farla sentire amata per davvero,
e non solo desiderata. E così com'era cambiato il suo rapporto con Ade, era
cambiata anche lei, cominciando a percepirsi regina degli Inferi e mettendo da
parte la propria empatia nei confronti delle anime piangenti che brulicavano
per tutto l'Oltretomba. Era stata costretta a farlo, a spogliare quelle ombre
d'importanza e valore. Nessuno avrebbe potuto salvarle tutte, rovesciando
l'ordine delle cose e scaraventando nel caos il regno dei viventi: quella era
la triste realtà, e Persefone, pur conservando intatto il proprio animo
misericordioso che tanto la rendeva amata dai mortali, l'aveva accettata, non
potendo fare altrimenti.
Trascinandosi dietro l'oscurità ad
ogni passo, il Dio si fece strada nella nebbia. Teneva la moglie a braccetto e
di tanto in tanto la guardava, innamorato del suo giovane viso di donna. Bionda
e bellissima, Persefone era come una rosa dai candidi petali, sbocciata dalla
sterile terra infernale; un fiore prezioso, profumato, splendido, di cui Ade
era gelosissimo e che non si sarebbe mai stancato di ammirare. Ma i loro occhi
faticavano a incrociarsi. Lo sguardo di lei era fuggevole, concentrato sulle
anime che dal traghetto di Caronte scendevano ad affollare la riva dello Stige.
Qualcosa la turbava.
Ade posò la mano su quella della
Dea, stretta al suo braccio. «Cosa c'è?» domandò, inclinando di poco il capo.
Persefone indicò le ombre
tutt'intorno. «Guarda che affollamento. Non hai anche tu l'impressione che
ultimamente il flusso di defunti si sia intensificato?»
«Infatti è così.» Il Dio annuì,
accarezzando piano le dita della moglie. «Pare che i Messeni siano di nuovo in
guerra con gli Spartani e che i soldati di entrambi gli eserciti stiano cadendo
a terra uno dopo l'altro, come foglie dagli alberi. Non so chi la spunterà, ma
so per certo che lassù Ares si sta dando da fare.»
«Guerra.» Persefone parlò con tono
di biasimo, rivolgendosi a se stessa. «Ma certo, avrei dovuto immaginarlo...»
«Ma no, mia cara.» Ade si fermò,
offrendo alla Dea uno dei suoi lievissimi sorrisi, tra la dolcezza e la
malinconia. «Il numero di nuove ombre può aumentare per le ragioni più svariate
e imprevedibili. Le epidemie, per esempio, a parità di tempo possono offrirci
molti più sudditi rispetto a una guerra e...»
«Mio Signore!» Una voce
maschile, smorzata dall'affanno, colse alle spalle i due sovrani, facendoli
sussultare. «Finalmente vi ho trovato!»
Marito e moglie si voltarono e un
uomo alto e pallido, dagli occhi sporgenti e il viso scavato, si arrestò di
fronte a loro, tutto trafelato: era uno dei servitori personali del Dio, uno
dei più fedeli.
«Che succede?» domandò Ade, sulle
spine. Non ricordava quand'era stata l'ultima volta che aveva visto uno dei
domestici correre da lui in quel modo, e con quell'agitazione in corpo.
«Due uomini!» ansimò il servitore.
«Due viventi!»
Nell'udire quelle parole lo
sguardo di entrambi i coniugi si accese.
«Sono entrati a palazzo e
pretendono un'udienza. Dicono che è molto importante.»
«Chi sono?» chiese Ade.
«Teseo di Atene, e Piritoo,
principe dei Lapiti. Si sono annunciati così.»
Il Dio tacque qualche secondo,
frugando nei propri ricordi. Legato com'era al regno degli Inferi gli capitava
molto raramente di risalire in superficie, ed era attraverso i resoconti degli
altri Dei, in particolare quelli di Hermes il Messaggero, che entrava in
contatto con quel mondo, scoprendone vicende e personaggi degni di nota. «Teseo
di Atene» ripeté, annuendo. «Eroico principe, figlio di Egeo. Sì, il suo nome è
giunto alle mie orecchie. Questo Piritoo invece non lo conosco.» Ade guardò la
moglie che, a differenza sua, trascorreva metà dell'anno nel regno dei viventi.
«Tu, mia cara, l'hai forse sentito nominare?»
Persefone scosse la testa. «Non mi
sembra. Però posso immaginare per quale ragione entrambi siano discesi negli
Inferi...»
«La ragione è sempre la stessa.»
Ade annuì, condividendo il pensiero della sua regina che, come lui, era pronta
a ricevere le suppliche dei due visitatori affinché uno dei loro cari potesse
lasciare l'Oltretomba e tornare in superficie. Dopotutto era già capitato in
passato e, considerato l'ardore che scuoteva i cuori di certi mortali,
probabilmente sarebbe capitato ancora. Ma stavolta c'era qualcosa di diverso,
d’insolito, a giudicare dal panico che aveva preso il sopravvento sul povero
servitore. E Ade, pur non avendo ancora visto i volti dei due uomini che con
immensa boria pretendevano un'udienza privata come se questa gli fosse
dovuta, era già maldisposto nei loro confronti e impaziente di cacciarli dal
suo regno. «Andiamo» disse, cingendo con un braccio il fianco della moglie, e
con lei fece per incamminarsi in direzione del palazzo. «Il dovere chiama.»
«Mio Signore…»
Ade lanciò un'ultima occhiata al
servo.
«Vi stanno attendendo a spada
sguainata...»
Persefone sussultò, colpita da
quelle parole, ma il Dio degli Inferi non batté ciglio. «Mi dispiace per loro»
rispose, e con la moglie si avviò verso casa, lasciandosi alle spalle il fiume
Stige.